Se qualcuno di voi (lettori) ha avuto l'immenso gusto e piacere di immergersi, fino ad affondare, nella lettura di "Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi, non può non aver provato una certa emozione incontrando le varie analisi sociologiche che affiorano come macchie di dalmata qua e la nel testo - in analogia con lo stile neorealista - tra la polvere ed il vento caldo risvegliati dalle trascinanti descrizioni.
Non sto qui a fare il plot del racconto, e per questo invito calorosamente chiunque a leggere il libro. Vorrei però riportare alcune righe (ovviamente senza rovinare lo spettacolo) riguardo una riflessione dell'autore: questo mi costringe ad accennare che il romanzo è il racconto del confino dell'autore per antifascismo. Siamo negli anni '30 ed egli viene spedito nel Mezzogiorno, lontano dal suo natale Piemonte, moderno e culturalmente vibrante. Viene mandato in Basilicata, in provincia di Matera, dove resterà per circa due anni. Durante il suo periodo di confino gli viene concesso di tornare per alcuni giorni a casa, a Torino, per la morte di un parente. Parla con vecchi amici e conoscenti della sua "prigionia" ma soprattutto del Mezzogiorno, della "questione meridionale". Non condivide le soluzioni e le conclusioni che via via ascolta, ed esibisce la personale analisi del problema. Quindi scrive: "[...] ma in un paese di piccola borghesia come l'Italia, e nel quale le ideologie piccolo-borghesi sono andate contagiando anche le classi popolari cittadine, purtroppo è probabile che le nuove istituzioni che seguiranno al fascismo, per evoluzione lenta o per opera di violenza, e anche le più estreme e apparentemente rivoluzionarie fra esse, saranno riportate a riaffermare, in modi diversi, quelle ideologie; ricreeranno uno Stato altrettanto, e forse più, lontano dalla vita, idolatrico e astratto, perpetueranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e nuove bandiere, l'eterno fascismo italiano."
Carlo levi scriveva questo nel 1945, circa 10 anni dopo il suo confino, dopo che, come scrive nel'incipit del romanzo, "Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare Storia". E cosa è successo negli anni a venire? Tutti, credo (e spero), sono al corrente della storia d'Italia dagli anni '50 ad oggi. Non credo che egli avesse pretese di chiaroveggenza o magia ma, quanto si discosta dalla realtà? e da quanto vediamo oggi?
"Ninte!" rispondevano i contadini a Levi quando lui chiedeva "Che cosa si può fare per cambiare le cose?". E noi, che gli rispondiamo?
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