sabato 13 febbraio 2010

ZOOM: L'ipotesi nucleare

Illustri esponenti politici sostengono che ritornare al nucleare sia una buona soluzione per la crisi energetica e climatica, dato che la considerano rinnovabile (c’è chi ancora crede che l’uranio sia inesauribile) e pulita. In effetti, una centrale nucleare in attività non comporta una rilevante produzione di anidride carbonica: il fumo bianco che si vede uscire è solo vapor acqueo (tra l’altro anch'esso è un gas ad effetto serra). Ma se si considera l’intero ciclo di vita (Life Cycle Assessment - LCA) del combustibile (l’isotopo Uranio-235), allora ci si rende conto che produrre elettricità da fissione nucleare comporta immettere in atmosfera molta CO2. Le operazioni da effettuare per poter utilizzare Uranio-235 sono diverse (estrazione, macinazione, conversione, arricchimento, fabbricazione del combustibile ed eventuale riprocessamento) e tutte richiedono a loro volta energia, oggi fornita dai soliti combustibili fossili. C’è poi da considerare l’operazione di gestione delle scorie nucleari (che hanno un tempo di decadimento radioattivo di circa 250000 anni ndr) e manutenzione della centrale stessa. Nel calcolo finale delle emissioni prodotte, bisogna analizzare anche l'estrazione di Uranio e la sua concentrazione, considerando che al mondo esistono poche miniere ad alta concentrazione del minerale (soprattutto in Canada), ed alcune di esse sono difficili da trattare e richiedono molta energia di estrazione. Secondo il rapporto dell’Oxford Research Group, assumendo una vita operativa media della centrale nucleare pari a 35 anni ad una efficienza dell’85%, la quantità in grammi di CO2 emessa per chilowattora elettrico (gCO2/kWh) è da riferire ad un valore medio di 103 unità. Confrontiamo ora questo dato con le emissioni derivanti da altre fonti comuni:
Generatore a carbone
circa 1000 gCO2/kWh;
Cella ad idrogeno:
664 gCO2/kWh;
Biomasse: 14 - 41 gCO2/kWh (dipende dal tipo di biomassa);
Geotermico: 38 gCO2/kWh;
Solare termico: 13 gCO2/kWh;
Solare fotovoltaico: 32 gCO2/kWh;
Eolico: 10 gCO2/kWh.
Non dimentichiamo inoltre che l'uranio è esauribile e sempre secondo studi condotti dall’Oxford Research Group, entro il 2070 (nella migliore delle ipotesi) la percentuale di Ossido di Uranio presente nelle riserve residue sarà al di sotto dello 0,01%. Il nucleare quindi non può essere considerato come una reale soluzione alla crisi economico-ambientale, e se si considera la rapida crescita dei consumi di Cina ed India, questa risorsa potrebbe soddisfare il 30% della domanda mondiale di elettricità per non più di 40 anni.
La centrale nucleare per ovvi motivi di sicurezza, deve essere costruita lontano dai grandi centri urbani e l’enorme quantità di calore che produce non può essere utilizzata ad esempio, per il riscaldamento domestico, in qunto il suo trasporto nelle lunghe distanze non è economicamente vantaggioso. Ad ogni modo, il problema mondiale non è l'energia elettrica, perché se noi andiamo a vedere gli usi finali dell’energia, il 32% serve per produrre carburante per i trasporti, il 31% per basse temperature (es. per il riscaldamento domestico), il 17% per alta temperatura (uso industriale), il 6% è media temperatura (es. cucina), ed infine il rimanente 14% è per l’elettricità. Quindi, anche se si risolvessero i problemi legati alle emissioni da parte dell’industria elettrica, rimarrebbe quel 54% legato al bisogno di calore e quel 32% legato ai trasporti, che continuerebbero ad emettere CO2.
Il problema dei cambiamenti climatici e dell'energia in generale è quindi molto complesso, e non può essere assolutamente banalizzato ad una semplice questione nucleare si o nucleare no, o ancora affrontato con un approccio riduzionistico. Il problema anzi deve essere affrontato con un approccio di tipo olistico, così da permettere un cambiamento radicale del sistema stesso.
Infatti, ciò su cui occorre investire è il passaggio da una struttura centralizzata di generazione dell’energia, basata su poche e grandi centrali funzionanti con fonti fossili (e anche sul nucleare), ad un sistema delocalizzato, decentrato, basato su tante e piccole centrali alimentate con fonti rinnovabili; un sistema questo che tiene conto degli usi finali dell’energia e delle reali esigenze energetiche locali, evitando gli sprechi.
Grazie a Stefano Marino

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