venerdì 25 marzo 2011

Se la scienza italiana dice che lo tsunami è "giustizia di Dio"...

Da il Fatto
“Le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio” e “sono talora esigenza della sua giustizia della quale sono giusti castighi”. Monsignor Orazio Mazzella, arcivescovo di Rossano Calabro lo scriveva all’indomani del terremoto di Messina del 1908. Tuttavia, nonostante sia passato più di un secolo, quelle parole sono ancora di attualità per uno degli esponenti di spicco del mondo scientifico italiano. Il 16 marzo scorso, infatti, nel corso della tramissione ‘Radici cristiane’ su Radio Maria, il vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) Roberto De Mattei ha citato a più riprese lo scritto di Mazzella per spiegare agli ascoltatori il senso escatologico dello tsunami in Giappone. Parole che hanno creato sconcerto in Rete, dove la notizia è rimbalzata tra i blog fino alla pubblicazione di un appello per chiederne le dimissioni.
All’interno della comunità scientifica, il primo a intervenire in modo netto per chiederne le dimissioni è Stefano Moriggi, filosofo della scienza (università di Bergamo) che in una nota su Facebook ha lanciato il messaggio. “De Mattei dovrebbe dimettersi per manifesta incompatibilità tra le sue idee e la carica che ricopre”, spiega. “Non è in gioco la libertà di pensiero o di espressione di chicchessia. Ciascuno può pensarla come gli pare. Può persino seguire le orme di Pangloss, il docente di ‘metafisico-teologo-cosmo-scemologia’ che insegnava ad Candido di Voltaire che ‘tutto essendo fatto per un fine, tutto è necessariamente per il fine migliore’. Ma, appunto, non dovrebbe occuparsi di scienza”. Moriggi evidenzia la totale assenza di coerenza tra “la ricerca, i suoi metodi, i suoi dati, il suo linguaggio e i suoi referenti istituzionali. De Mattei deve sapere che per gli scienziati le catastrofi non ‘sono esigenza della giustizia divina’”.
Non è la prima volta che De Mattei finisce al centro delle polemiche. Nel 2009 il Cnr ha pubblicato “Evoluzionismo. Il tramonto di un’ipotesi” (Cantagalli), un volume costato 9.000 euro di finanziamento pubblico che raccoglieva gli atti di un seminario organizzato dallo stesso De Mattei sulle teorie creazioniste. Che il vicepresidente del Cnr ritiene poggino su una solida base scientifica, a differenza di quanto sostengono gli evoluzionisti. In risposta alle critiche, De Mattei aveva affermato di trovare “incredibilmente incoerente che ci si possa dichiarare cristiani ed evoluzionisti” e che “Adamo ed Eva sono personaggi storici e progenitori dell’ umanità”. Ricorda Moriggi: “Il 2009 è stato l’anno di Charles Darwin, visto che ricorreva il bicentenario della nascita e il centocinquantesimo dalla pubblicazione dell’Origine delle specie. Per l’occasione, De Mattei ha pensato che il Cnr dovesse distinguersi per l’organizzazione di un workshop che ha esposto il prestigioso ente di ricerca al pubblico ludibrio internazionale, schierandolo di fatto sulle posizioni del peggior creazionismo disponibile sul mercato della pseudoscienza”.
Se proprio vuoi, sentiti l'audio "Cari amici di Radio Maria" sono il vicepresidente del Cnr.

Chi è Roberto de Mattei:
Dal 2002 al 2006 consigliere per le questioni internazionali di Gianfranco Fini, quando ricopriva il ruolo di vicepresidente del Consiglio, De Mattei è stato nominato vicepresidente del Cnr nel 2004. Poi la riconferma nel 2008. Insegna anche Storia del Cristianesimo e della Chiesa presso la privata Università europea di Roma, dirige il mensile “Radici cristiane” ed è presidente della Fondazione Lepanto, “un’istituzione no-profit fondata a Washington D.C. nel marzo 2001 in difesa dei principi e delle istituzioni della Civilità Cristiana”. Un curriculum in linea con le sue posizioni creazioniste ma non altrettanto coerente con il suo ruolo nel Cnr, secondo Moriggi. “Non pochi a dire il vero hanno alzato la voce contro la sua nomina a vicepresidente e contro certe sue posizioni o iniziative che hanno lasciato basita la stragrande maggioranza degli scienziati”, puntualizza Moriggi, che ricorda il manifesto pubblicato nel 2003 contro la sua nomina da alcuni esponenti della storiografia accademica, tra i quali Giovanni Miccoli e Paolo Prodi. “Tuttavia in Italia, e non solo nel più ristretto mondo della ricerca, si fatica a ‘far rete’ a causa di un innato individualismo o per una strana e pericolosa mescolanza di indolenza e rassegnazione. Si dovrebbe pensare più seriamente che la ricerca è un bene pubblico che tutti dovrebbero difendere”.

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