Da: Il Manifesto
«Che cosa diavolo è successo alla Harry Potter generation?», si chiede l'Inghilterra per bene sorpresa dall'esplosione di una rabbia giovanile che non si vedeva da decenni. «Chi semina vento raccoglie tempesta», risponde Jonas, un ragazzo di 17 anni che studia in un college di Hackney nella zona est di Londra. «Che cosa si aspettavano da ragazzi che stanno condannando ad una vita senza futuro?».
Una generazione disillusa e arrabbiata, politicizzata ma poco ideologica che sembra trovare nella violenza di piazza l'unico mezzo per esprimere il proprio dissenso contro la politica lacrime e sangue proposta dal governo del Tory Cameron e del Libdem Clegg. Ragazzi che per parafrasare un celebre proverbio arabo assomigliano molto di più ai tempi di crisi in cui sono cresciuti, piuttosto che ai propri genitori che ai loro tempi di proteste ne hanno fatte poche, per lo più pacifiche, e su problemi che non li toccavano direttamente come la fame nel terzo mondo o l'apartheid in Sudafrica. E che non si sentono rappresentati dal sindacato studentesco percepito come distante e parte del sistema, ma neppure dai gruppuscoli e partitini della sinistra antagonista che pure cercano di approfittare dell'ondata di mobilitazione per reclutare militanti.
Il vecchio motto punk «no compromise» è diventato non a caso uno degli slogan più popolari tra gli studenti che scendono in piazza con tanti cartelli ma poche bandiere. Con la testa incappucciata ed i volti coperti, ed al suono di musica drum'n'base come eravamo abituati a vedere in Germania, in Francia o in Italia. Certo non nel regno di Elisabetta II. E questo antagonismo si riflette nelle dichiarazioni dei leader del movimento per nulla intimiditi dall'attacco della stampa contro gli studenti che il Sun bolla «yobs», come i compagni di violenze di Alex in Arancia Meccanica. Per Clare Solomon presidente del sindacato degli studenti universitari londinesi «chi parla di violenza è un'ipocrita. Sono gli stessi che sostengono la guerra in Afghanistan. I violenti sono quelli che usano i fucili. Non chi rompe una vetrina». Sulla stessa linea Mark Bergfeld, carismatico leader della coalizione Education Activist Network che sostiene che la violenza è stato «il risultato delle condizioni orribili in cui sono stati tenuti gli studenti», finiti cordonati per ore dagli agenti nella zona del parlamento.
Aaron Porter, presidente del sindacato degli studenti universitari (Nus) che sin dall'occupazione di Millbank dello scorso novembre aveva criticato la «minoranza violenta» si ritrova un pastore senza gregge. La vigilia pacifica di protesta con tanto di candele organizzata a Embankment sulle sponde del Tamigi, è stata un flop. Solo 7.000 persone contro le oltre 30.000 che hanno partecipato alla manifestazione di fronte al parlamento in cui si sono visti scontri di massa tra studenti e polizia. Ed ora il fronte radicale degli studenti si sta organizzando per creare un nuovo sindacato degli studenti da opporre al sindacato unico Nus tacciato di moderazione e indecisione.
Il radicalismo che sta provocando una scissione tra moderati ed antagonisti nel movimento studentesco britannico è la spia di un risentimento largamente diffuso non solo tra gli studenti universitari ma anche tra i teenagers delle scuole superiori che gli hanno dato manforte delle proteste.
Alla base c'è la percezione di un futuro che rischia di essere senza lavoro come è quello del 17% dei giovani inglesi, dato destinato a crescere nei prossimi mesi a causa del blocco delle assunzioni in buona parte del pubblico impiego e a causa della stretta sull'economia prodotta dai tagli. E va pure peggio per i laureati: il 25% sono senza lavoro in un paese in cui fino a tre anni fa le compagnie facevano incetta di studenti freschi di laurea.
Se ai tempi della crisi continuare a studiare non sembra aumentare le possibilità di trovare un posto di lavoro, per gli studenti l'università continua a rappresentare un approdo dove provare a esaudire i propri sogni anche se non sfoceranno in un posto di lavoro. «Perché devo fare per forza ingegneria o fisica, come vuole il governo?», si chiede Camilla una studentessa di 16 anni che vuole studiare antropologia all'università. Sono queste aspirazioni frustrate che alimentano gli insulti contro i «Tory feccia», e quello che si può solo chiamare un'odio di classe contro i banchieri che come denuncia Thomas, uno studente di sociologia, «prima ci hanno rubato i soldi ed adesso ci vogliono rubare anche la speranza».
«Che cosa diavolo è successo alla Harry Potter generation?», si chiede l'Inghilterra per bene sorpresa dall'esplosione di una rabbia giovanile che non si vedeva da decenni. «Chi semina vento raccoglie tempesta», risponde Jonas, un ragazzo di 17 anni che studia in un college di Hackney nella zona est di Londra. «Che cosa si aspettavano da ragazzi che stanno condannando ad una vita senza futuro?».
Una generazione disillusa e arrabbiata, politicizzata ma poco ideologica che sembra trovare nella violenza di piazza l'unico mezzo per esprimere il proprio dissenso contro la politica lacrime e sangue proposta dal governo del Tory Cameron e del Libdem Clegg. Ragazzi che per parafrasare un celebre proverbio arabo assomigliano molto di più ai tempi di crisi in cui sono cresciuti, piuttosto che ai propri genitori che ai loro tempi di proteste ne hanno fatte poche, per lo più pacifiche, e su problemi che non li toccavano direttamente come la fame nel terzo mondo o l'apartheid in Sudafrica. E che non si sentono rappresentati dal sindacato studentesco percepito come distante e parte del sistema, ma neppure dai gruppuscoli e partitini della sinistra antagonista che pure cercano di approfittare dell'ondata di mobilitazione per reclutare militanti.
Il vecchio motto punk «no compromise» è diventato non a caso uno degli slogan più popolari tra gli studenti che scendono in piazza con tanti cartelli ma poche bandiere. Con la testa incappucciata ed i volti coperti, ed al suono di musica drum'n'base come eravamo abituati a vedere in Germania, in Francia o in Italia. Certo non nel regno di Elisabetta II. E questo antagonismo si riflette nelle dichiarazioni dei leader del movimento per nulla intimiditi dall'attacco della stampa contro gli studenti che il Sun bolla «yobs», come i compagni di violenze di Alex in Arancia Meccanica. Per Clare Solomon presidente del sindacato degli studenti universitari londinesi «chi parla di violenza è un'ipocrita. Sono gli stessi che sostengono la guerra in Afghanistan. I violenti sono quelli che usano i fucili. Non chi rompe una vetrina». Sulla stessa linea Mark Bergfeld, carismatico leader della coalizione Education Activist Network che sostiene che la violenza è stato «il risultato delle condizioni orribili in cui sono stati tenuti gli studenti», finiti cordonati per ore dagli agenti nella zona del parlamento.
Aaron Porter, presidente del sindacato degli studenti universitari (Nus) che sin dall'occupazione di Millbank dello scorso novembre aveva criticato la «minoranza violenta» si ritrova un pastore senza gregge. La vigilia pacifica di protesta con tanto di candele organizzata a Embankment sulle sponde del Tamigi, è stata un flop. Solo 7.000 persone contro le oltre 30.000 che hanno partecipato alla manifestazione di fronte al parlamento in cui si sono visti scontri di massa tra studenti e polizia. Ed ora il fronte radicale degli studenti si sta organizzando per creare un nuovo sindacato degli studenti da opporre al sindacato unico Nus tacciato di moderazione e indecisione.
Il radicalismo che sta provocando una scissione tra moderati ed antagonisti nel movimento studentesco britannico è la spia di un risentimento largamente diffuso non solo tra gli studenti universitari ma anche tra i teenagers delle scuole superiori che gli hanno dato manforte delle proteste.
Alla base c'è la percezione di un futuro che rischia di essere senza lavoro come è quello del 17% dei giovani inglesi, dato destinato a crescere nei prossimi mesi a causa del blocco delle assunzioni in buona parte del pubblico impiego e a causa della stretta sull'economia prodotta dai tagli. E va pure peggio per i laureati: il 25% sono senza lavoro in un paese in cui fino a tre anni fa le compagnie facevano incetta di studenti freschi di laurea.
Se ai tempi della crisi continuare a studiare non sembra aumentare le possibilità di trovare un posto di lavoro, per gli studenti l'università continua a rappresentare un approdo dove provare a esaudire i propri sogni anche se non sfoceranno in un posto di lavoro. «Perché devo fare per forza ingegneria o fisica, come vuole il governo?», si chiede Camilla una studentessa di 16 anni che vuole studiare antropologia all'università. Sono queste aspirazioni frustrate che alimentano gli insulti contro i «Tory feccia», e quello che si può solo chiamare un'odio di classe contro i banchieri che come denuncia Thomas, uno studente di sociologia, «prima ci hanno rubato i soldi ed adesso ci vogliono rubare anche la speranza».
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